Fase III: studi clinici su larga scala
Dopo aver completato con successo la fase II, il farmaco entra nella fase III, che coinvolge un gruppo di pazienti molto più ampio e diversificato. Qui vengono condotti studi clinici per confermare l'efficacia del farmaco, monitorare gli effetti collaterali e confrontare le sue prestazioni con i trattamenti esistenti o con un placebo. I dati raccolti in questa fase costituiscono la base per la presentazione delle domande di autorizzazione all'immissione in commercio alle autorità sanitarie. Le sperimentazioni di fase III sono le più lunghe e spesso durano diversi anni, richiedendo il reclutamento di numerosi pazienti e la raccolta di dati.
Una volta dimostrata la sicurezza e l'efficacia di un farmaco, lo sponsor presenta una domanda di autorizzazione all'immissione in commercio (New Drug Application, NDA) alle autorità regolatorie, come la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) o l'Istituto svizzero per gli agenti terapeutici (Swissmedic). Le autorità regolatorie esaminano attentamente i dati raccolti, prima di decidere se autorizzare l’immissione del farmaco sul mercato. L'esame regolatorio può durare alcuni mesi fino ad anni, a seconda della complessità della domanda e della necessità di ulteriori informazioni.
Fase IV: sorveglianza post-marketing
Una volta ottenuta l'autorizzazione all'immissione in commercio, un farmaco entra nella Fase IV, nota anche come Sorveglianza post-marketing. Il farmaco è ora sul mercato e disponibile al di fuori degli studi clinici. Secondo Swissmedic, un prodotto impiega in media tra i dieci e i dodici anni per raggiungere questa fase.
Nella fase IV, la sicurezza e l'efficacia del farmaco sono dunque costantemente monitorate sul più ampio gruppo di pazienti possibile. La raccolta di dati a lungo termine aiuta a riconoscere gli effetti collaterali rari e a garantire la sicurezza e l'efficacia del farmaco.
Le quattro fasi dello sviluppo di un farmaco
Riposizionamento di medicinali autorizzati e approvazione accelerata
Oltre al percorso tradizionale di sviluppo dei farmaci, esiste un processo noto come repurposing o riposizionamento. In questo processo, i farmaci già autorizzati vengono studiati per il trattamento di un'altra malattia o di un altro sintomo. In questo caso, i profili di sicurezza e i meccanismi d'azione sono già noti e il farmaco può passare direttamente a una fase successiva.
Un esempio importante è il temelimab, originariamente approvato per il trattamento di malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide. I ricercatori hanno iniziato a esplorare il potenziale di questo farmaco in altre malattie, tra cui il long COVID. Riproponendo farmaci come il temelimab, i ricercatori possono accelerare il processo di sviluppo e potenzialmente offrire nuove opzioni terapeutiche ai pazienti in modo più rapido ed economico.
Un farmaco può anche essere sottoposto ad approvazione accelerata dopo la Fase II in presenza di condizioni speciali. Questa deviazione dalla procedura standard è stata attuata, ad esempio, per diversi farmaci antitumorali che hanno ottenuto risultati talmente buoni nella Fase II da ottenere l’approvazione anticipata all’immissione sul mercato.
Un'altra eccezione sono i farmaci orfani: farmaci che trattano malattie rare, per le quali non esistono attualmente opzioni terapeutiche valide. I farmaci orfani interessano un gruppo di pazienti e dunque un mercato così ristretto che per le aziende farmaceutiche non varrebbe la pena affrontare un intenso processo di autorizzazione con i relativi costi. Pur di offrire dei trattamenti per queste malattie rare, l'autorizzazione in questi casi può essere accelerata.
Biomarcatori o bersagli farmacologici: cosa ha scoperto lo studio di Zurigo?
Nello sviluppo di farmaci, è importante distinguere tra "bersagli farmacologici" (punti di interazione per i farmaci) e biomarcatori. I bersagli farmacologici sono molecole, proteine o processi biologici specifici che possono essere influenzati dai farmaci per trattare una specifica malattia. Questi bersagli svolgono un ruolo cruciale nell'efficacia delle potenziali terapie e servono come punto di riferimento per la ricerca farmacologica.
I biomarcatori sono indicatori quantificabili che riflettono i normali processi biologici, la progressione della malattia o la risposta al trattamento. Sebbene alcuni biomarcatori possano servire anche come bersagli farmacologici, la loro funzione principale è quella di aiutare nella diagnosi della malattia, nella prognosi e nel monitoraggio della risposta al trattamento.
I biomarcatori sono stati identificati in uno studio di Zurigo recentemente pubblicato. Si è osservato che parti del sistema immunitario (sistema del complemento) e della coagulazione del sangue funzionano in modo diverso nei pazienti affetti da long COVID rispetto ai controlli sani. La coagulazione del sangue e il sistema del complemento sono funzioni corporee molto importanti. Potrebbe essere difficile trattarli con un farmaco senza effetti collaterali importanti. Tuttavia, si tratta di biomarcatori promettenti che potrebbero facilitare la diagnosi di long COVID e misurare la gravità della malattia sull'intero organismo.
Uno dei problemi principali dei biomarcatori è la specificità. Nel caso, ad esempio, del long COVID sorge la domanda: il biomarcatore è sempre e solo un segno di long COVID? In caso contrario, il risultato non sarebbe affidabile e ci chiederemmo: il paziente non è affetto da long COVID oppure il biomarcatore non ha funzionato? Il paziente ha effettivamente il long COVID o un'altra malattia in cui il marcatore ha lo stesso aspetto?
In sintesi, tutti i farmaci e i biomarcatori devono essere efficaci, affidabili e sicuri. Per questo motivo, il loro sviluppo richiede tempo. Tuttavia, le scoperte scientifiche continuano a guidare l'innovazione nello sviluppo di farmaci e diagnostici. Questo dà speranza a noi di Altea e alla nostra Altea Community.